Fioretti di bontà di Don Luciano.
Nella zona di Medicina, Castel S. Pietro e anche in diversi monasteri della città di Bologna, dove era confessore, è ancora vivo il caro ricordo di Don Luciano Sarti, per tanto tempo rettore del Santuario della Madonna del Poggio.
Da alcuni anni il Signore lo ha chiamato a sé, ma la gente ancora lo rammenta con piacere e quando si trova in necessità lo prega anche, perché dice: “Don Luciano era un santo per davvero.”
Malato come era, aveva poca voce, ma il suo abituale atteggiamento buono con tutti; umile e devoto sempre, valeva per la gente più che molte prediche.
Tutti di lui serbiamo cari ricordi personali.
Anch’io ne serbo tanti, e per non dimenticarli col passare del tempo, ho pensato di scriverne qualcuno.
L’episodio che narro, l’ho udito ricordare in sua presenza da un ex alunno.
Dopo che fu ordinato sacerdote, tutti sanno, rimase per due anni professore in seminario.
Insegnava storia e geografia in prima e seconda media. Le materie non erano troppo importanti, è vero, ma don Luciano le insegnava con tanta competenza e amore, che anche dagli scolari più svogliati era ascoltato e seguito con vivo interesse.
Nelle interrogazioni, don Luciano non smentiva mai la sua bontà. Comunque fosse andato l’esito, il voto non cambiava mai: a tutti dava 10.
Ce ne fossero di questi professori, diranno gli scolari!
Ma un giorno anche don Luciano, che pure era la bontà in persona, sentì il dovere di ricordarsi della giustizia; e a un alunno che nell’interrogazione non aveva detto una parola, mandandolo al posto gli disse: “Bisogna che questa volta ti dia 10-“.
Il ragazzo che non si aspettava un tale e tanto grande castigo, andò al posto e si mise a piangere.
Don Luciano al colmo del dispiacere per aver inflitto una punizione forse troppo severa, con profondo imbarazzo chiese ai compagni: “Perché piange?”
” Professore, perché gli ha dato 10-“.
Al sentire questo, don Luciano chiamò di nuovo il ragazzo vicino a sé.
Lo sfortunato scolaro, si alzò, e a testa bassa con gli occhi rossi e pieni di lacrime tornò alla cattedra. Prendendo allora in mano la penna disse :”Guarda, guarda cosa faccio”. E su quel meno, tirò un segno verticale così che divenne un più.
Il ragazzo ora contento e commosso fissò negli occhi don Luciano e con un sorriso di riconoscenza gli disse: “Grazie professore”.
I compagni che si erano tutti ammutoliti, di fronte a quella scena di bontà scoppiarono in un applauso.
II sacerdote che faceva questo racconto alla presenza di don Luciano stesso concluse: “quella fu per me la più bella lezione a cui abbia assistito in tutta la mia vita e che mai dimenticherò”.
E don Luciano, curvo per gli anni, e ora anche rosso di vergogna, un po’ confuso scuoteva il capo e ripeteva: “Fu proprio così… Fu proprio così…”
Vorrei concludere il racconto con questa preghiera: “Signore, fa che la bontà nel cuore degli uomini non sia davvero morta con don Luciano …”
I monelli e la provvidenza.
Tutti sanno che la puntualità non era certamente il forte di don Luciano.
La gente però era disposta ad sopportare tutti i suoi ritardi con pazienza perché sapeva benissimo che non erano dovuti ad una personale trascuratez¬za, ma alla sua completa disponibilità ad assecondare le necessità spirituali dei fedeli che lo avvicinavano.
Poteva essere fintanto che volete l’ora della messa, ma se c’era uno che gli chiedeva di confessarlo, lui non sapeva dire di no… e la confessione si sapeva quando cominciava ma non quando sarebbe finita. Poiché chi una volta, e chi l’altra, tutti erano stati causa di questi ritardi, questo veniva sopportato pazientemente.
La cosa invece non andava sempre per il verso giusto quando si trattava dei ragazzi del catechismo, che erano chiamati a pazientare l’inizio della lezione e spesso a interromperla per quella grande bontà del sacerdote che voleva sempre essere disponibile a tutti.
Questi ragazzi, secondo i tempi e le stagioni, dovevano pur riempire queste parentesi di forzata attesa, e lo facevano a seconda dei casi e delle stagioni. Se era il tempo della frutta, nell’orto di don Luciano si poteva sempre trovare qualche ciliegia, fico od altro, magari buono anche se acerbo… Ma se era d’inverno la cosa diventava più difficile.
Il racconto che sto facendo l’ho sentito narrare da un protagonista della vicenda, e confermare poi da don Luciano stesso, che anche in questo caso vedeva giustamente la presenza benefica del Signore. A Poggio quel giorno, attirato naturalmente dalla Madonna, doveva essere approdato un pesce spiritualmente grosso e proprio nell’ora del catechismo. La conversazione, o la confessione, infatti, si protraeva più del solito. Il gruppetto di scolari, prima cominciò a passare il tempo giocando col bigliardino scassato, poi passò a gridare e a rincorrersi nel piccolo chiostro. Visto però che l’attesa si protraeva ancora chissà per quanto, uno ebbe un’idea veramente geniale: dalle donne che avevano pulito la chiesa, erano stati lasciati vicino al rubinetto esterno alcuni secchi. Il più intraprendente ne afferrò uno, lo riempì, e alla prima macchina che passò gettò l’acqua sul parabrezza. La macchina così investita rallentò un poco, forse volarono anche imprecazioni. Poi riprese il cammino.
Visto l’accaduto, tutti corsero ad impadronirsi di un secchio pieno d’acqua e in poco tempo al margine della strada c’erano 4 o 5 ragazzi in attesa che passasse un’ altra macchina da lavare.
Quando avvistarono un’ auto in arrivo, in tutti passò un brivido di gioia per la bravata che stavano per fare.
Ma questa volta la macchina lavata si fermò davvero. Scese un distinto signore, che si mise a gridare a tutta voce…
Neanche a dirlo, i ragazzi piantarono i secchi vuoti e scapparono tutti. Il signore non si dette per vinto, e siccome si trovava davanti ad una chiesa, e che a custodirla pensava vi fosse un prete responsabile di tutto, si mise a suonare il campanello a tutto ritmo…. Quel suono disperato attirò sulla porta don Luciano, che con il più cordiale sorriso salutò ed accolse l’arrabbiato signore, che rispose gettando sul povero prete quel cumulo di rimproveri che avrebbe voluto rivolgere ai ragazzi fuggiti.
Come don Luciano si rese conto dell’ accaduto, profondamente rattristato cominciò a confessare la sua colpevolezza per aver abbandonato quei buoni ragazzi per attendere ad altro.
Chiedeva scusa con tutto il cuore per l’accaduto, dichiarandosi doverosamente disposto a risarcire i danni. Intanto i ragazzi, nascosti dietro la cantonata della casa e le colonne della chiesa, assistevano alla scena rendendosi solo ora conto del guaio causato al sacerdote che tanto amavano. Certo la bontà e l’umiltà di don Luciano ben presto calmarono la collera di quel signore. Dopo tutto quei secchi d’acqua non avevano poi causato danni tanto gravi, e quasi per scusarsi cominciò a domandare notizie sul santuario. Don Luciano subito gli propose di visitare la chiesa. Lo informò sull’ apparizione alla Bedini… Gli mostrò la bella immagine della Madonna, ma quello che più colpì il visitatore fu certamente la bontà del sacerdote. Partendo domandò lui stesso scusa per il disturbo arrecato e lasciò un’ offerta per il santuario.
Don Luciano spesso mi ha confermato che da quella volta quel signore, quando passava, anche senza che gli tirassero qualche secchi d’acqua si fermava per una visita al santuario e un saluto al sacerdote amico. Tutti, anche se non lo chiedono, penseranno: come andò a finire la lezione di catechismo con quei monelli?
Semplicissimo: don Luciano, che vedeva sui visi il dispiacere e il pentimento per l’accaduto, si guardò bene dal farne parola o rimprovero alcuno.
Dopo tutto le parole non contano quando è il cuore che dice pentimento sincero, e anche perché sicuramente il più colpevole di tutto l’accaduto riteneva essere lui stesso. Il tutto certo facile a dirsi, ma difficile a credersi, se non si trattasse di don Luciano!!
La borraccia di Don Luciano.
Don Luciano fin da ragazzo fu cagionevolissimo di salute. In seminario diverse volte dovette interrompere gli studi, e sui 22 anni fu anche ricoverato in sanatorio.
Ma sull’argomento salute era meglio non parlarne con lui, perché con battute scherzose sempre eludeva l’argomento.
Come sta don Luciano? Benissimo era la risposta che dava sempre, anche se dopo 2 giorni si sapeva che era stato ricoverato in ospedale.
In ospedale andandolo a trovare diceva: ” sono qui per obbedienza al medico! ”
Ed era vero, perché tutti sapevano che anche se ammalato lui sarebbe rimasto a casa.
L’episodio che sto per narrare, un pò curioso invero, come del resto è stata tutta la vita di questo sacerdote, sono riuscito a conoscerlo attraverso le testimonianze di comuni amici, di Vincenzino, e da don Luciano stesso che interrogato sull’argomento a sorpresa qualche cosa mi diceva. E’ dunque questo l’insieme di tante briciole che però formano un pane vero e sofferto della sua vita.
Questo non deve sorprendere perché le vie, per le quali il Signore conduce le anime, sono sempre quelle dell’umiltà, della sofferenza e del silenzio, virtù che lui solo vuole conoscere e premiare.
Verso la metà di Novembre del 1946, le ristrettezze, le fatiche e le privazioni degli anni di guerra prostrarono completamente il suo stato di salute già tanto precario.
Si mise a letto rimanendovi per 4 lunghi mesi durante i quali non potè mai celebrare la Santa Messa. Aveva dalla bocca continue emorragie di sangue. Lo curava così come si poteva a casa un medico di Castel San Pietro. Le medicine e il cibo erano quelle che si potevano trovare in quei tempi di miseria comune. L’anti vigilia di quel Natale il medico lo trovò tanto peggiorato che consigliò di chiamare il suo confessore perché gli amministrasse gli ultimi sacramenti.
Dietro richiesta di don Luciano, andarono a Bologna a prendere Monsignore Cesare Sarti, che lo aveva guidato spiritualmente fin dal seminario, ma poiché lo trovarono ammalato, portarono il Padre spirituale dei teologi Monsignore Tubertini, che gli amministrò in quella vigila di Natale tutti i sacramenti degli infermi. Vedendolo poi tanto grave, salutandolo gli disse addirittura: “Domani farai Natale in paradiso “.
Ma si vede che il Signore non era del parere del Monsignore e del medico, così che don Luciano anche se tanto grave e in mezzo a sofferenze fece quel Natale in terra, e con quello tanti altri poi!
Qualche giorno dopo tornò il medico e avendo ormai inutilmente sperimentato tutti i rimedi a disposizione, poiché fintante che c’è vita c’è speranza, consigliò un’altro rimedio, incerto anche se antico, ma che in quelle condizioni si poteva tranquillamente provare senza pericolo di perdere tempo. Per fermare le emoragie, provassero a mettere sul petto del malato del ghiaccio.
Nel 1946 non esistevano frigo casalinghi, ma dato il mese di dicembre, e la stagione tanto rigida non era difficile trovare ghiaccio.
Torniamo però a pensare a quei tempi Non esistevano borse per ghiaccio In ogni casa c’era appena un paiuolo per cuocere il cibo ma il Signore e la buona volontà della mamma infermiera provvidero anche a questo.
I tedeschi, quando si ritirarono dal Poggio Piccolo, come era loro abitudine, portarono via quello che gli poteva servire e lasciarono quanto non serviva più.
Fra le cose lasciate nel cortile vi era una boraccia di alluminio. La mamma per seguire il consiglio del medico la riempì di acqua, la mise per qualche tempo fuori dalla finestra e il ghiaccio in breve fu pronto.
Don Luciano vedendo che tutti gli altri rimedi erano inutili, prese la boraccia dalle mani della mamma, con tanta fede invocò la Madonna, e strinse forte sul petto quel ghiaccio, sicuro che il Signore avrebbe fatto il resto.
Quando il ghiaccio per il calore si scioglieva la mamma rimetteva fuori dalla finestra la boraccia e in poco tempo il ghiaccio era nuovamente pronto.
Don Luciano stesso dirà poi a Vincenzino, che dopo pochi giorni, sul suo petto si era formata l’impronta della boraccia e la pelle si sbriciolava tanto intenso era il freddo.
Certamente la Madonna si serviva di quel mezzo empirico per ridare la salute a un suo caro figlio; perché piano piano le emoragie si fecero sempre meno freguenti, e don Luciano in capo 2 mesi potè andare a ringraziare la sua Madonna in chiesa e celebrare Messa.
Un giorno mentre cercava faticosamente di mettere un poco di odine nelle sue cose di casa, gli venne sottomano la boraccia.
A quella vista commosso, venendo meno alla sua abituale riservatezza disse a Vincenzino, che era presente, e lo aiutava in quel difficile lavoro:” QUELLA BORACCIA, GURDATE, MI HA SALVATO LA VITA”.!! Poi quasi pentito per quanto aveva detto subito soggiunse: “E’ STATA LA MADONNA CHE MI GUARI’”.
Don Ugo Vivarelli