Intervento di don Silvano, Parroco di Castel San Pietro alla Commemorazione di don Luciano Sarti al teatro Jolly, in occasione della presentazione del libro di Odoardo Reggiani
Era buono don Luciano!
E lo sapevano tutti, per questo andavano da lui con fiducia totale e filiale confidenza. Se un bambino non dormiva di notte, lo portavano a far benedire da don Luciano. Se il figlio grande iniziava una attività con un camion nuovo, i genitori consigliavano: “Va’ a farlo benedire da don Luciano”, ma anche se gli animali del cortile avevano problemi di sopravvivenza, bisognava chiamare don Luciano a benedirli.
Era buono don Luciano!
E la gente sapeva che poteva andare a confessarsi da lui ad ogni ora, dal mattino presto alla sera tardi, e trovava in lui quella comprensione paterna e forte che aiutava a riprendere una rinnovata vita cristiana e tornava a casa con tanta pace. Da lui andavano a confessarsi piissime suore e laici trasgressivi, tanti preti e alcuni Vescovi, famiglie intere con i loro figli e robusti peccatori che preferivano la discrezione delle ore notturne. Confessioni brevi (non faceva tanti discorsi esortativi o psicologici), ma non ripetitive, sempre originali. Un esempio fra tutti: una signora, confessati peccati molto gravi – è la sua testimonianza – si sentì dire: “..ma lei è santa!” e alla sua costernazione don Luciano aggiunse: “sì, perché è stata tanto umile da confessare peccati così gravi; ha ascoltato la voce dello Spirito Santo che l’ha condotta a questa confessione; sì, ora è santa”.
Era buono don Luciano!
E lo sapevano anche le decine di questuanti che bussavano continuamente alla sua porta e spesso approfittavano della sua mitezza; lo sapevano anche quei delinquentelli che non hanno esitato ad assalirlo, minacciarlo, picchiarlo, derubarlo e lasciarlo ferito; sapevano bene che era “disarmato e arrendevole, anche se poi non tanto da consegnare chiavi “preziose” che custodivano tesori sacri a lui carissimi. Ma anche per quegli sciagurati il suo perdono fu pieno e totale.
Tutti sapevano della sua bontà, ma solo pochissimi sapevano che trascorreva molte ore in ginocchio, in Chiesa, davanti al Tabernacolo e alla Immagine della “Madonnina” e le poche volte che si sedeva non si appoggiava allo schienale della panca, per stare più scomodo e unire la penitenza alla preghiera. Ma la gente non sapeva (a nessuno era permesso entrare nella sua camera da letto) che dormiva non su di un letto, ma sopra una rete appoggiata per terra, con un vecchio e duro materasso, a sua volta poggiato su tavole sconnesse fatte di scuretti di recupero.
Era buono don Luciano!
E lo si vedeva anche dalla dolcezza e pazienza infinita con la quale accoglieva le persone, stava con loro nel piccolo studiolo sempre freddo e ascoltava lunghe litanie di lamentele: Pazienza e dolcezza infinita anche con la vecchia mamma, dalla quale accettava di essere accompagnato in ogni momento, opportuno e importuno, negli anni della sua smarrita senescenza. La sua non era una bontà sdolcinata o remissiva, era alimentata da una fede e una vita spirituale altissima. Era una bontà che veniva dall’intimo della sua vita illuminata dall’Amore di Dio e armonizzata con un impegno di studio, di seria riflessione, di continuo aggiornamento teologico e culturale; la sua partecipazione a convegni di studio, a conferenze, a corsi di teologia, era assidua e convinta. Buono e forte, buono e sapiente, buono e attivo nel curare la formazione dei chierichetti, dei giovani, del coro, delle celebrazioni liturgiche e delle “festicciole” attorno al Santuario. Dunque era un prete del quale tutti, credenti, praticanti, non praticanti o atei dicevano: “Ce ne vorrebbero dei preti così!”. Nel ricordare l’anniversario della sua morte, vogliamo semplicemente dire grazie al Signore che ci ha dato un Prete così; ma dire grazie anche a lui che si è lasciato totalmente illuminare e santificare dallo Spirito Santo. Nel cammino verso il giubileo del 2000 osiamo chiedere al Signore che ci doni altri preti così.
Siamo molto grati al sig. Odoardo Reggiani che ci ha donato questo profilo storico di Mons. Luciano Sarti.
21.04.1998
Mons Silvano Cattani
Don Luciano confessore
Andare a confessarsi è sempre un po’ faticoso: lo era anche per noi ragazzi di Poggio, invitati dal parroco don Amedeo a confessarci ogni primo sabato del mese. Ma in tutti noi c’era una speranza: che a confessare ci fosse don Luciano. Era il sacerdote rettore del Santuario della Madonna di Poggio di Castel San Pietro. Lo conoscevamo tutti: quella sua statura alta, il capo un po’ piegato, il volto sempre sorridente; lo conoscevano tutti, vicini o lontani dalla chiesa per la sua profonda e inalterabile bontà. Lo chiamava spesso il parroco a confessare a Poggio; era il confessore più desiderato; si formavano lunghe file davanti al suo confessionale ( e don Amedeo non era geloso, lo stimava tanto e si confessava anche lui da don Luciano); lo chiamava volentieri, anche perché poi rifiutava ogni ricompensa. Conobbi meglio don Luciano durante le confessioni mensili, che divennero anche tappe di un cammino spirituale, fino al mio ingresso in seminario: diceva cose semplicissime, dove traspariva il suo immenso amore al Signore: dava consigli che anche nell’età più adulta sono rimasti come luci di una sapienza alla quale riferirsi e dalla quale attingere orientamento. Era una miniera preziosa di insegnamenti evangelici, filtrati dall’intensa vita spirituale e dal suo cuore attento e premuroso. “ Vedi – ricordo lucidamente dopo 50 anni questa immagine – se una colomba è legata per una zampina anche solo con un filo di refe a un cavicchio (erano immagini comuni alla nostra vita quotidiana) non può volare; siamo così anche noi, se un vizio anche piccolo ci tiene legati alla terra, la nostra anima non può volare verso l’amore di Dio..” Al termine della quinta elementare andai da lui perché mi preparasse all’esame di ammissione alla scuola media. Lui aveva già insegnato in seminario, ed era un grado di insegnare ogni materia, dalla storia alla matematica, dall’italiano alla geografia. Un’ ora ogni giorno ero da lui: è stato un mese in cui ho imparato ben altro che le materie scolastiche. Quando arrivavo, in bicicletta, lo trovavo regolarmente in chiesa, in ginocchio a pregare; mi invitava ad buna breve preghiera con lui, poi nel suo studiolo e spesso anche nel cortiletto davanti alla canonica si faceva la lezione; mi spiegava con pazienza ogni materia, poi una verifica fatta subito sul quaderno; interveniva correggendomi con quella dolcezza che rendeva quasi gradito l’aver sbagliato. Spesso lo osservavo con la coda dell’occhio: ogni tanto aveva un fremito ( nel suo corpo aveva sofferenze di ogni genere) e allora portava la mano sulla fronte e con il pollice faceva una piccola croce e si ricomponeva adagio, poi mi guardava e sorrideva, quasi temendo che avessi scoperto quella sua sofferenza. Non trascorreva un’intera ora di lezione senza che arrivasse qualcuno di passaggio per la via San Carlo ed entrasse per chiedere di confessarsi, e lui quasi mortificato chiedeva scusa di non poter andare subito e invitava ad entrare in chiesa davanti all’immagine della Madonna a prepararsi alla Confessione.
Dal seminario dove ero entrato, non senza il suo influsso spirituale determinante, gli mandavo qualche biglietto o cartolina; rispondeva regolarmente con i suoi sempre sapienti e preziosi consigli. Ma di lettere e consigli ne inviava tanti e tutte le categorie di persone; è conservata una documentazione di molta sua corrispondenza con Vescovi, Sacerdoti, Religiose, amici, ammalati. Quando divenuto sacerdote, cappellano in una parrocchia di città, portai al Santuario di Poggio un gruppo di giovani perché don Luciano predicasse loro un breve ritiro spirituale, lo feci con un po’ di perplessità. Eravamo nel 1966, c’erano già i fermenti della contestazione che sarebbe scoppiata qualche anno dopo. I giovani portati al ritiro erano quasi tutti studenti universitari e non proprio tutti “chiesaiuoli”. Temevo che le parole semplici di don Luciano e i contenuti essenziali della sua predicazione deludessero la loro complessa problematica culturale e spirituale. Non so cosa abbiano pensato delle sue meditazioni seguite da momenti di silenzio; ma con mia meraviglia, nella seconda parte del ritiro si confessarono tutti e prima di partire chiesero di poter ritornare a fare un ritiro al Santuario di Poggio.
I Vescovi dell’Emilia – Romagna, nella prima settimana di luglio, per tanti anni hanno fatto gli esercizi spirituali presso il Seminario Arcivescovile di Bologna. Come si è soliti, durante gli esercizi viene dedicata una giornata alle confessioni. Dovendo provvedere a chiamare alcuni confessori, (in quegli anni mons Silvano Cattani era Rettore del Seminario) chiedevo indicazione a qualche Vescovo; il consiglio, anzi la richiesta, aveva sempre un nome: “Chiami don Luciano Sarti”. Quando arrivava si infilava furtivamente nel corridoio dove era la camera dei Confessori. Alcuni erano già ad attenderlo e rompendo momentaneamente il “sacro silenzio” gli andavano incontro festosi con espressioni di affetto e di venerazione.
L’Arcivescovo di Bologna, card. Lercaro, dovendo provvedere a scegliere il suo confessore si rivolse a don Luciano, modestissimo sacerdote di un piccolo santuario di campagna. Del suo ministero di Confessore il Cardinale si avvaleva regolarmente e lo volle vicino a sé nella camera dell’ospedale per l’ultima confessione e nelle ultime ore della sua vita.
Era confessore ordinario e straordinario di decine di comunità religiose femminili; era sempre puntuale a quegli incontri di grazia, con tanto sacrificio personale ( non avendo l’auto si serviva di mezzi pubblici). La comprensibile prolungata fatica e pazienza che quel ministero comportava fu sempre ricambiata da buna venerazione e una interiore profonda gratitudine che le Religiose gli esprimevano. Si potrebbe continuare con tante testimonianze su don Luciano confessore, compresi i gustosi episodi di confessioni sul “biroccino” o sulle macchine di chi pietosamente lo caricava, vedendolo aspettare il pullman di linea, e che misteriosamente approfittava di quella occasione per confessarsi, talvolta anche dopo molti anni.
Ma perché la gente di ogni categoria, nei più diversi atteggiamenti spirituali sentiva il desiderio di confessarsi all’incontro con lui, talvolta improvvisamente, altre volte dopo scelte meditate e travagliate? Il segreto c’è: in lui si percepiva una singolare, evidente presenza di Dio amabile e misericordioso, si percepiva , come ebbe a dire il card Biffi, “una persona che dava l’impressione di vivere in un clima diverso” (e certamente non solo perché non gli andava a chiedere soldi per aggiustare la canonica o a lamentarsi di qualche confratello). Ma c’era anche, oltre alla percezione di trovarsi davanti ad un”Uomo di Dio”, la testimonianza di una vita di straordinaria umiltà, di una vera povertà evangelica ( bastava vedere com’erano il suo letto e la sua camera) e di una limpidezza affettiva che lo facevano sentire a tutti padre e fratello. Sulla vita spirituale di don Luciano si potrebbero aprire orizzonti immensi e profondi: un cammino spirituale limpido, nutrito di preghiera intima, prolungata, personale e liturgica (era attentissimo alla ricchezza spirituale della liturgia e alle relative indicazioni date dal Concilio). Una intensità di vita spirituale però non pesante o imbarazzante; espressa invece nella semplicità e talvolta in episodi gustosi, quasi “fioretti” di vita quotidiana.
Un aspetto nascosto della sua vita era la sofferenza. Ammalato fin dalla giovinezza, ha portato poi per tutta la vita il peso di sofferenze intime ed esteriori, ma sempre con una serenità e una dolcezza che non le facevano neppure sospettare. Ha fatto della sua vita “un sacrificio perenne” offerto al Padre con espressioni anche eroiche di ricerca di mortificazioni (il cilicio) ed anche originali, come pochi sanno. Il suggello di questa sua vita offerta come “vittima sacrificale” fu l’assalto subito nelle sua canonica, con selvagge percosse e profonde ferite, che richiesero molti giorni di ricovero in ospedale: si voleva da lui denaro che chiaramente non aveva. Coloro che hanno infierito contro di lui hanno avuto subito il suo perdono (per uno di loro sembra in seguito anche quello sacramentale).
Si potrebbe continuare la conoscenza di questo “Curato d’Ars” della nostra campagna bolognese parlando del suo amore per la Madonna, della quale custodiva con straordinaria premura l’antica e bella immagine nel santuario. Un amore e una devozione nutriti di teologia (partecipava spesso a corsi di mariologia) e di preghiera prolungata davanti alla immagine della sua “Madonnina”. Andava spesso in pellegrinaggio ai santuari mariani, in Italia e all’estero; tante volte è andato a Lourdes.
Leggendo i tanti appunti delle sue prediche si incontrano pagine che esprimono, oltre che la sua profondità spirituale, anche la sua sensibilità psicologica; ne cito una per tutte: “..dare alla gente la gioia di parlare di loro stessi, della loro famiglia, farsi scolari di colui con cui si parla,…con certe persone sfasciate moralmente usare le parole del cuore”
Nei primi mesi del 1987 ebbe diversi momenti di malattia e conseguenti ricoveri in ospedale (era stimato e amato anche dai medici che lo “costringevano” talvolta a ricoverarsi per rimetterlo in piedi e.. per farlo mangiare normalmente). Al termine di uno di questi ricoveri (era molto indebolito e non si reggeva più: piaghe alle gambe, respiro affannoso…) il Primario, prof Giungi chiamò per informarmi che don Luciano non poteva più vivere da solo nella canonica del Santuario: poteva venir meno da un momento all’altro. Concordammo di proporgli di essere ospitato nella canonica di Castel San Pietro. Quando gli fu comunicato dal Primario si rifiutò dicendo che avrebbe disturbato troppo e quindi non era opportuno; solo dietro insistenza anche mia consentì, esprimendo una profondissima gratitudine. Ma l’indomani, dopo aver chiesto l’Eucarestia e l’unzione degli infermi, volle rimanere solo per qualche tempo, e solo, nella cameretta d’ospedale, dopo alcune ore, “senza disturbare nessuno” morì.
Don Luciano “confessore” come ha terminato la sua vita? Naturalmente confessandosi E’ stato anche questo uno di quei “fioretti” prodigiosi. Aveva detto altre volte a don Alberto Canarini (è stato lui stesso a testimoniarlo): “Avrei piacere di fare con lei la mia ultima confessione”. Quando don Luciano fu ricoverato l’ultima volta all’ospedale di Castel San Pietro, in quegli stessi giorni fu ricoverato per alcuni controlli medici anche don Alberto, che, saputo della presenza di don Luciano, andò subito a visitarlo.Don Luciano, gratissimo di quella visita, gli chiese di confessarsi: fu quella la sua ultima confessione, pochi giorni prima della sua morte: un desiderio esaudito! Una delicatezza del Signore verso il suo servo fedele , confessore?
In queste note ho sempre detto “don Luciano”, in realtà era Mons Luciano Sarti. L’Arcivescovo Cardinale Antonio Poma un giovedì mattina fece chiamare don Luciano, desiderava parlargli, non gli fu detto il motivo.Don Luciano si allarmò, temette qualche cosa di spiacevole: un trasferimento, un rimprovero, chissà. Andò all’appuntamento il giorno fissato; dopo il saluto l’Arcivescovo gli comunicò che lo avrebbe nominato canonico, con il titolo di Monsignore. Don Luciano rimase interdetto e dopo un po’ di silenzio chiese al Cardinale se fosse possibile…se non gli fosse dispiaciuto…lasciar cadere la cosa…non lo meritava e poi ….non serviva…All’insistenza del Cardinale, don Luciano chiese un favore…che la cosa fosse rimasta segreta, che lo sapesse solo lui e il cardinale, nessun altro..Così era don Luciano
24.02 2002
Mons Silvano Cattani – Parroco di Castel San Pietro T.