Ancora una volta sono invitato a scrivere di Mons Luciano Sarti ( d.Luciano o Lucianino per noi suoi compagni di seminario) e lo faccio più che volentieri, perché solo a ripensarlo mi fa sentire più buono.
Con tutta sincerità affermo che è stato un vero dono di Dio averlo incontrato fin dal ginnasio nel Seminario in piazza Umberto I , oggi Piazza dei Martiri.Ritengo come cosa certa che,se noi suoi compagni di scuola ce l’abbiamo fatta ad arrivare alla meta, lo dobbiamo anche a questo compagno di cordata che, senza avere nessuna pretesa di essere un esempio, un protagonista, di fatto lo è stato per noi.
Era bravo a scuola, ma c’erano altri forse più bravi di lui, amici nostri che hanno in seguito raggiunto brillantemente le lauree; don Luciano per sua parte fin dal ginnasio aveva la sua missione: rivelare il Signore intorno a sé. Anche adesso non so spiegarmelo: cercavamo la sua compagnia perché ci affascinava la sua bontà, lo sentivamo già tanto vicino al Signore. A scuola potevamo meritare delle reprimende, magri voti in condotta, ma fin quando ci fosse stato in mezzo a noi Luciano, la classe era salva. Il Can.co Abelardo Molinari era il nostro professore di italiano: era molto bravo, ne avevamo una grande stima, ma scattava facilmente, e ci puniva fino ad imporci una poesia a memoria da un giorno all’altro. Una volta, ricordo bene, ci rimase male, perché noi, la poesia di Leopardi, all’indomani la sapevamo bene. Gli spiegammo che a noi Leopardi piaceva; ci avesse dato Parini, non avremmo imparato. Quando in classe c’era stata tempesta il professore sembrava si fosse accorto di aver esagerato, nel silenzio scandiva: “Sentiamo da Sarti” E proseguiva. “ Abissus abissum invocat” E noi: “ In voce cataractarum tuarum”. Era il segno della pace: tutti si rideva; l’abisso evocato dal salmo era l’abisso del male in cui Luciano stava precipitando, convinto il professore e noi con lui dell’opposto! Luciano si alzava rosso in faccia, sorrideva e noi a battere le mani. Era fin da allora il nostro santo protettore.
In camerata e non solo in scuola si davano i voti in condotta, veniva il vice rettore a leggerli.Era difficile, direi impossibile, arrivare a dieci. Meno male che c’era Sarti, a cui non mancavano mai gli elogi. Ma non è che ne provassimo invidia, anzi, in lui ci sentivamo elogiati tutti, proprio perché gli volevamo bene. Con lui era impossibile bisticciare: non c’era motivo! Quando si andava in Cappella o ci si metteva in preghiera, forse per qualche modello particolare che era a noi presentato, era facile assumere l’atteggiamento del collo torto, del sanluigino. Luciano non l’ho mai notato in atteggiamento fuori dal normale: per lui parlare col Signore o parlare con noi pareva che fosse la stessa cosa: lui, il Signore lo aveva dentro, nel cuore. Gli è sempre piaciuto stare con gli amici; nei giochi non poteva dare un valido contributo per la sua salute sempre gracile; il pallone, “ladri e carabinieri”, “padre Girolamo”, “bandiera” esigevano energie che Luciano non aveva. Perché a Luciano abbiamo sempre voluto tanto bene? Perché sentivamo che lui cene voleva tanto. Quando era presente lui, non si riusciva a dir male di nessuno Capivamo che lui ne avrebbe avuto dispiacere e com’era possibile dargli dispiacere?! Ci siamo trovati con lui, noi suoi amici di classe fino agli ultimi anni di vita. Allego a parte l’invito del 13/5/1980 quando ci volle a Poggio, al Santuario. E’ facile notare la bellezza anche formale di quelle righe e l’estrema modestia che si rileva dalla nota che mette in fondo in cui chiede conferma, osservazioni… Se ben ricordo, l’ultima volta che fu con noi, accettò di presiedere: era il 18 giugno 1985, celebravamo le nozze d’oro di Messa, nel Santuario della Madonna di San Luca. Trascrivo l’annotazione fra le mie carte: “Don Luciano ci ha convocati: ha presieduto la commossa celebrazione. Eravamo in 15; c’era anche Mons Mario Sarrazanetti che una volta in più ci ha dimostrata la sua simpatia”.
Ordinati sacerdoti fummo per qualche anno trattenuti in Seminario diocesano come insegnanti nel ginnasio.C’era con noi don Alfonso Sonetti, don Nerio Girotti, don Ottavio Balestrazzi. Anni 1936…Una mattina mi sentii chiamare: con don Luciano dormivamo in camera a muro. Aveva avuto nella notte una emotisi, mi disse di avvertire io Rettore. “Digli che non posso dire la Messa”. Non di più; era calmo, tranquillo, come non fosse successo niente.
Quando tornai dalla Russia, anno 1946, un giorno incontrai don Luciano. Si dimostrò subito vivamente interessato alle mie vicende e siccome non erano cose liete, ricordo la sua sofferenza, la sua partecipazione.Non faceva che ripeter. “Povero don Enelio”. Non mi disse niente di sé; non so neppure se nella foga di raccontare di me io gli abbia chiesto: “E tu? Dov’eri in quegli anni?” Ho saputo da altr,i in seguito, quello che gli era capitato: sofferenze atroci, umiliazioni, pericolo di morte… E a me non aveva detto niente, per lui esistevano solo le mie sofferenze… Si ammalò il Cardinal Lercaro. Andai al S. Orsola, ma sull’uscio della camera c’era il cartello “Non si può entrare”. Intravidi dentro Don Luciano. Pensai: “se c’è don Luciano posso entrare anch’io”. Quando uscii, chiesi come mai ci fosse quel cartello. Don Arnaldo mi disse. “Solo don Luciano può entrare, è il confessore del Cardinale”. Don Luciano confessore del Cardinale?! A pensarci bene nessuna meraviglia: il Cardinale aveva saputo scegliere bene. Ma come mai nessuno di noi suoi amici l’aveva saputo? Già, a pensarci bene, nessuna meraviglia. Forse che avevamo mai sentito da lui una parola per raccontarci di sé? E quando eravamo noi a dirgli qualcosa che tornava a suo elogio dovevamo smettere presto, perché si turbava. Che responsabilità aver conosciuto un santo così! Che non fossimo solo noi a venerarlo, don Luciano lo vide nel giorno del suo funerale. Che trionfo! »
Bologna
11 novembre 1993
Don Enelio Franzoni