Non ho conosciuto don Luciano. Tuttavia, la prima volta che benedissi la parrocchia di Castel Guelfo, ad un certo punto, mi sembrò di aver varcato una soglia invisibile ed essere entrato in un territorio diverso. Era la mia stessa parrocchia, eppure tra una casa e l’altra, tra una strada e l’altra, si avvertiva una differenza come se qualcosa o qualcuno avesse lasciato traccia di sé…Don Luciano era passato da quelle case, da quelle strade. Non ho conosciuto don Luciano, ma non ho mai avvertito in maniera così nitida il profumo della santità come al termine di quel pellegrinaggio tra le famiglie perché qualcosa di don Luciano era rimasto dentro le cose, dentro le case.
Di don Luciano molti hanno scritto raccontandone gli innumerevoli aneddoti della sua semplice vita sacerdotale. Pochi sanno o immaginano però il lavoro nascosto che Luciano Sarti, giovanissimo seminarista, ha dovuto compiere per poter divenire un giorno quello che agli occhi assomigliava ad un Santo capace di educare intere generazioni.
Leggere i diari della sua adolescenza tra i 16 e i 21 anni, ossia tra il 1926 e il 1931, rivela infatti il processo educativo che si compone tra i superiori del Seminario, i compagni di classe, lo stesso Luciano e la Grazia di Dio. Una cosa è sicura. Luciano non è divenuto don Luciano in maniera spontanea, come oggi una certa cultura educativa propone lasciando al ragazzo l’intera responsabilità delle sue scelte, spesso senza alcuna inibizione, spesso senza alcun riferimento normativo morale. In queste pagine di diario, evidentemente segrete, come nascosto è il mondo interiore, a partire dal 1926 (aveva sedici anni) Luciano scrive:
- “Sono molto superbo. I miei compagni me lo hanno fatto notare. Pregherò e non lascerò mai in pace la superbia”.
- “Ho conosciuto che ho molta fredda la carità verso i fratelli specialmente. Voglio vincermi e prometto di non acconsentirvi mai più”.
- “Vorrò con l’aiuto di San Giuseppe vincermi nella pigrizia. E comincio da ora.
- “Il Signore mi ha fatto capire che sono piuttosto attaccato alla mia roba. Voglio essere più generoso con i miei compagni”.
Sono solo alcune delle frasi di cui rimanere sconcertati… Don Luciano superbo? Avido? Chi lo ha conosciuto non può crederlo. Eppure, la natura tende, per una forza gravitazionale istintiva, a mettere le proprie esigenze al centro. Lasciato a se stesso Luciano sarebbe stato orgoglioso, superbo, sensuale, accidioso…le avrebbe tutte. Per contrastare questo istinto, ha dovuto iniziare una battaglia senza riserve con sé stesso. Da qui, le espressioni “voglio vincermi”, “non lascerò in pace la superbia”, “Comincio ora”. Questo è il lavoro educativo. Un lavoro d’artigianato fine, che mira a diventare uomo libero, non cioè prigioniero della propria natura istintiva. Un lavoro che condurrà Luciano ad essere padre, ad essere vero, ad essere eterno.
Si intuisce da quegli scritti giovanili che don Luciano aveva chiaro che un domani avrebbe insegnato più che con le parole o con i fatti, con la vita. L’educazione non è una gara di coerenza tra parole e fatti. L’educazione è una relazione. Luciano si preparava ad essere una persona autentica perché un giorno chiunque si fosse accostato a lui, imparasse non da lui, ma lui. Si è preparato, in quegli anni, ad essere un coraggioso combattente per poter insegnare a combattere. Conosceva la sconfitta, ma sapeva rialzarsi e indicare la strada a chiunque venisse a confessarsi da lui. Si era educato per poter essere educatore…
Don Massimo Vacchetti